Cinque giorni nel golfo di Saint Tropez (parte terza)

Una mail e un paio di telefonate mi annunciano, mentre sono ancora immerso nelle ferie di metà agosto, che devo partire per Saint Tropez per riparare, in una giornata, l'impianto di monitoraggio di una barca. In realtà i giorni di lavoro saranno tre e mezzo.

La viabilità

Appena si passa il confine tra Liguria e Francia ci si sente a disagio anche nei sedili posteriori: una serie di piccole differenze nella segnaletica non aiutano nella guida e nell'orientamento. Il segnale di divieto di svolta con logica opposta a quello italiano rappresenta un esempio lampante.

Altri lievi sintomi di disagio si avvertono a causa dei segnali di direzione: blu per le autostrade e verdi per le strade normali; l'esatto contrario di quanto fatto in Italia.
Forse il disagio maggiore si ha a causa delle linee che delimitano la corsia che sono tratteggiate anche dal lato del burrone come se fosse consentito oltrepassarle. Di notte non è facile capire i limiti della carreggiata.

Interessanti le viuzze all'interno dei centri storici che sono state rese a senso unico ed una corsia è stata trasformata in zona ciclo pedonale delimitata da paletti di acciaio. Se lo fai in Italia i paletti durano una settimana...

Paurose le enormi rotonde coi semafori ed il discesone che c'è in autostrada prima di Nizza. Al termine della discesa c'è la barriera del pedaggio e a fianco del tratto in discesa è stata costruita una corsia in materiale friabile che fa decelerare i mezzi coi freni in panne... Roba da matti.

La sera

Come ho già scritto la vita a Cogolin finisce un minuto dopo le 21:00. Una sera per impegnare il tempo siamo andati a Saint Tropez, una specie di Milano Marittima molto costosa e col porto pieno di yachts in bella vista. Facile trovare parcheggio visto che è stato previsto un mega parcheggio a pagamento per i turisti, un po' meno facile trovare il posto lungo la strada per non pagare il parcheggio: fortunatamente troviamo un posto in cui l'Opel Vivaro entra perfettamente.

Praticamente sta tutto lungo la banchina del porto: da un lato i mega yachts con bodyguard che fermano i più curiosi; dall'altro lato i pub con bodyguard che impediscono a quelli coi calzoni corti di entrare a consumare. Visto che eravamo tutti coi calzoni corti ci sediamo ad un tavolo fuori da un pub insieme a tante altre che consumano bevande passando la serata fissando gli yachts e chi sale e scende dalle passerelle. Quattro mojito e una red bull: 76 euro! Fortuna che non ci hanno fatto entrare nell'altro pub più fighetto altrimenti chissà quanto avremmo speso.

Giriamo un altro po' per Saint Tropez ed arriviamo in una discoteca contornata da centinaia di persone che stavano a guardare i vip (francesi e dunque a noi sconosciuti) all'interno del locale. Wow che divertimento! Ve lo lasciamo!

La sera dopo andiamo a Port Grimaud, una piccola Venezia privata in cui i padroni di casa (e di strada) hanno l'approdo della barca davanti a casa. Essendo tutta privata hanno (giustamente) sbarrato qualunque strada e dunque per i turisti è impossibile entrare. Digestivo al bar e poi si torna in albergo.

Cinque giorni nel golfo di Saint Tropez (parte seconda)

Una mail e un paio di telefonate mi annunciano, mentre sono ancora immerso nelle ferie di metà agosto, che devo partire per Saint Tropez per riparare, in una giornata, l'impianto di monitoraggio di una barca. In realtà i giorni di lavoro saranno tre e mezzo.

Il cibo in Francia

Un incubo. Il primo giorno pranziamo in un bar del centro commerciale vicino al cantiere. Sperando di andare sul sicuro prendo una pizza prosciutto e funghi. Quanti modi ci saranno di fare la pizza? Sicuramente c'è quello francese: impasto dei biscotti, pomodoro disidratato e formaggio tipo sottilette. Che delusione! Non parliamo poi del caffè: tazzina piena fino all'orlo di un liquido nero che sa di acqua. Nemmeno chiedendo il caffè ristretto si riesce ad ottenere qualcosa di simile alla roba italiana*.

La sera ci accorgiamo che sotto l'albergo c'è un ristorante italiano chiamato "Gustò" che io, parlando con l'albergatore, pronuncio con l'accento sulla "o" e lui che mi corregge pronunciandolo senza accento. Ma come? Mettete l'accento finale su ogni parola e quando c'è non la mettete? Lo chef è napoletano e per fortuna sembra di mangiare in Italia. Pure il caffè è passabile.

Decidiamo di arrangiarci per il pranzo dei giorni seguenti. Si va al supermercato a comprare sei baguettes e un po' di confezioni di prosciutto crudo (60 euro al kg). Lama nuova sul taglierino per tagliare il pane e via con il pranzo "all'italiana" in cantiere.

E se vuoi una birra fresca da portare in cantiere? Non puoi. La birra alla spina è fredda ma puoi consumarla solo nel bar; quella in bottiglia è solo calda. Mi pare di aver capito che sia così per legge.

L'ultima sera cambiamo locale ma rischiamo di rimanere senza cenare visto che la vita a Cogolin si ferma un minuto dopo le 21. Fortunatamente troviamo un ristorante pizzeria col menù pseudo italiano pieno di errori di ortografia: "osso bucco", "pizza margharita"... Faccio il coglione ed ordino un altra pizza immaginando che non tutti in Francia facciano la pizza con l'impasto dei biscotti. Sbagliavo. Altra pizza schifosa.

Una nota sui vini. Quando chiedi vino bianco ti guardano stupiti e ti rispondono "Rosé". Quando chiedi vino rosso ti guardano stupiti e ti rispondono "Rosé". Non capivo, finché non mi sono trovato nella corsia alcolici di un supermercato: in Italia abbiamo la corsia piena di bottiglie di qualunque tonalità. Dal giallo canarino al giallo paglierino. Dal rosso acceso al marrone scuro. In Francia vedi una scaffalatura con centinaia di bottiglie di decine di marche diverse tutte con la stessa tonalità rosata. Sommellier è un termine francese ma credo che là non ci siano visto che non ci vuole un esperto per capire di che vino si tratta... un po' come il bidet inventato e non utilizzato in Francia.


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* Scena all'autogrill di Ventimiglia: ci fermiamo appena passato il confine proprio per prendere il primo caffè in Italia. A fianco a me un gruppo di ragazzi chiede a loro volta il caffè specificando che hanno bisogno di quello buono perché sono stati due settimane in Francia... Chissà quanti caffè vende l'autogrill di Ventimiglia...

Cinque giorni nel golfo di Saint Tropez (parte prima)

Una mail e un paio di telefonate mi annunciano, mentre sono ancora immerso nelle ferie di metà agosto, che devo partire per Saint Tropez per riparare, in una giornata, l'impianto di monitoraggio di una barca. In realtà i giorni di lavoro saranno tre e mezzo.

Il lavoro

Un pulmino con meccanico, ebanista, copertista ed elettricista a bordo mi passa a prendere alle 16:00 da Forlì con destinazione Cogolin, un borgo arroccato su una collinetta a 8km da Saint Tropez. A l'una di notte siamo in albergo, io ho una camera singola ma due mancanze mi sconvolgono: manca l'aria condizionata e soprattutto il bidet. Sporchi francesi!

La barca è parcheggiata sui trespoli in un angolo di un cantiere nautico a Port Cogolin, sotto un tettoia in ethernit tutto frastagliato. Salutisti francesi!

Il primo giorno di lavoro è tragico: durante un aggiornamento va in palla l'unico display di cui non avevo il ricambio. Due giorni di telefonate coi produttori veronesi senza ottenere nessun risultato, le bestemmie si sprecano: il display va sostituito. Inaffidabili veronesi!

Lourenço mi fa notare che se bestemmio continuamente Dio non mi aiuta... a lavoro terminato gli devo far notare che il frigo è l'unica cosa che continua a non funzionare in quella barca e quindi Dio non lo ha aiutato. Illusi capoverdiani!

Nel frattempo faccio quasi quattro ore di telefonate in Italia per aiutare ad avviare l'impianto su un altro scafo che pare debba partire immediatamente. In realtà è ancora a Fano. Impazienti marchigiani!

Per sostituire quel display non posso far altro che farmene portare uno nuovo dal magazzino del cantiere nautico che sta a Fano. Dario si è fatto 9 ore di auto per portami il display. Ora siamo in sei a Saint Tropez. Il display nuovo non sbaglia. Funziona bene e potrei proseguire con le prove se le elettrovalvole non si bloccassero per poi riprendersi misteriosamente dopo un'oretta. Imprevedibili bergamaschi!

Venerdì a mezzogiorno è tutto funzionante alla perfezione (tranne il frigo di Lourenço) e dopo una veloce doccia all'hotel siamo pronti per ripartire in vista dell'Italia.

Batbox

Dentro al capannone di rimesaggio dei trattori dormono cinque o sei pipistrelli che alla sera svolazzano vicino alle persone per cibarsi delle zanzare attirate dal calore umano. Non ho trovato il loro nido ma i miei gatti ci sono riusciti: ogni tanto escono dal capannone con qualche pipistrello in bocca. Un vero peccato visto che un pipistrello è quasi più utile di un gatto.

Con un po' di legno di recupero ho realizzato una batbox per tentare di dare un rifugio più sicuro ai pipistrelli partendo dal progetto del Museo di Scienze Naturali dell'Università di Firenze.

Con la sega a disco opportunamente spessorata ho inciso i pannelli di compensato in modo che sia più facile per i pipistrelli aggrapparsi alla struttura. Il compensato utilizzato è spesso 7mm mentre per le pareti lateriali ho utilizzato dei listelli di legno 20mm x 10mm.


La struttura va poi fissata con due tasselli al muro della casa, ad almeno quattro metri di altezza, in corrispondenza dell'asola fissata sopra il tettuccio e di un foro, ancora da fare, nella parte bassa della parete posteriore.

Sarà sufficiente il simbolo di Batman per far capire ai pipistrelli che devono entrare lì dentro?